L’intelligenza emotiva: chi ha più cervello lo usi

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Nell’attuale panorama aziendale, l’intelligenza emotiva è diventata una competenza indispensabile. Questa abilità, che implica la comprensione e la gestione delle proprie emozioni e di quelle altrui, è fondamentale nella formazione aziendale. 

I programmi di formazione per aziende stanno sempre più riconoscendo l’importanza di includere moduli dedicati all’intelligenza emotiva, sia per i leader che per i dipendenti. Questa focalizzazione non solo migliora la comunicazione interna, ma aiuta anche nel costruire relazioni più solide con i clienti e i partner commerciali. La formazione in azienda che enfatizza l’intelligenza emotiva equipaggia i professionisti con strumenti per gestire efficacemente conflitti, stress e sfide lavorative.

Da sempre si pensa che parlare di intelligenza significhi riferirsi alle nostre capacità razionali. Grazie ai contributi scientifici di studiosi come Paul Ekman e di autori come Daniel Goleman e altri, ha iniziato a farsi strada l’intelligenza emotiva. 

Sgombriamo il campo da un equivoco di fondo:  utilizzare l’intelligenza emotiva non significa essere simpatici, o gentili, o empatici. Affatto. Significa essere in grado di utilizzare una parte essenziale della natura umana. Le emozioni, cosi importanti da indurre un illustre neuroscienziato portoghese, Antonio Damasio, ad affermare che “We are not thinking machines. We are feeling machines that think.” (“Non siamo macchine pensanti. Siamo macchine emotive che pensano”).  E allora sorge spontanea una domanda: esattamente cosa sono le emozioni? Nuovamente sgombriamo il campo da un altro possibile equivoco: le emozioni non sono i cuoricini e le faccine sorridenti che vi scambiate via whatsapp. Sono molto, ma molto di più.

Siamo macchine emotive che pensano.

Il prof. Paul Ekman definisce un’emozione così: “un processo, una particolare tipologia di valutazione automatica influenzata dal nostro passato personale ed evolutivo. Durante il quale sentiamo che sta accadendo qualcosa di importante per il nostro benessere. Mentre una serie di cambiamenti psicologici e di comportamenti emotivi comincia a interagire con la situazione”.

Per capire meglio quanto afferma Ekman, facciamo un esempio. Vedete un’auto che sta per investirvi. Provate paura. Dal punto di vista emotivo è stato un processo. Ha avuto un inizio e una fine di cui siete consapevoli (particolarità che la differenzia da uno stato d’animo) – che è stato attivato da uno stimolo (che Ekman chiama “trigger,”) e vi ha portato a reagire al fine di preservare la vostra incolumità, scansandovi.

Quanto avete riflettuto per scansarvi? Semplice, non avete riflettuto, ma avete agito in modo automatico con un comportamento funzionale alla vostra sopravvivenza, messo in atto grazie all’emozione della paura. Provate invece a pensare a un caso in cui, per lo spavento, vi siate pietrificati. Vi è mai capitato di fronte a un pericolo? Bene. A cosa avete pensato mentre lo facevate?

Di nuovo a niente, è ovvio, avete semplicemente messo in atto – come nel primo caso – un  comportamento automatico. Per l’uomo primitivo poteva essere funzionale a difendersi da certi predatori che vedevano solo le prede in movimento. Peccato che un’auto non sia un predatore della preistoria e se ne infischi bellamente del fatto che vi muoviate o no. Per vostra fortuna il conducente dell’auto vi ha visti, a sua volta ha provato paura e per automatismo ha invece attivato un comportamento appreso, cioè frenare. Il tutto sempre senza alcuna attivazione della nostra parte razionale, istintivamente guidati dalle emozioni. 

Provate adesso  a pensare a un’altra emozione, la rabbia. Quando vi arrabbiate le vostre sopracciglia si abbassano e si uniscono. Il vostro sguardo diventa pungente, le vostre labbra mostrano tensione, la vostra voce diventa più aspra e il suo volume più alto. Durante le esplosioni  di rabbia più violente, serrate i pugni e gonfiate il petto e la reazione neurofisiologica principale fa sì che il flusso sanguigno salga verso la testa, provocando rossore e sensazioni di calore, e si diriga nelle braccia, che si attivano.

Questi automatismi, messi a punto dalla nostra evoluzione, ci hanno permesso di prepararci al combattimento per sopravvivere. Ossia, vi comportereste così se un vostro simile volesse sottrarvi la preda che avete appena cacciato con la vostra lancia nel bel mezzo della foresta, prima di rientrare nella vostra accogliente caverna. Peccato che vi comportiate così ancora oggi in molti altri frangenti.

Volete un esempio?  Come reagite quando un fornitore al telefono vi avverte con fare distaccato che non vi consegnerà quel materiale che state aspettando da tanto tempo per un cliente importante? Oppure quando un tizio con la faccia da furbetto vi passa davanti mentre siete pazientemente in fila ad aspettare che arrivi il vostro turno? O quando qualcuno, simpaticissimo, vi tende la saliera che gli avete chiesto e poi inizia quel divertentissimo giochino che consiste nel sottrarvela e riporgervela senza mai lasciarvela afferrare? O ancora quando siete sicuri del fatto vostro e insistete per convincere qualcuno, ma quel qualcuno, in barba alle vostre ottime argomentazioni, non si lascia convincere?

Diverse situazioni, diversi contesti, ma – con intensità differenti in base alla situazione – stesso comportamento automatico. Con una particolarità: provate a pensare proprio al caso in cui vogliate convincere qualcuno. Potrete mai riuscire nel vostro intento se vi arrabbiate con lui? Illogico, no? Eppure lo facciamo e il motivo è insito nel comportamento automatico attivato dall’interruttore (trigger) che scatena l’emozione. Nel caso della rabbia è rappresentato da un ostacolo al raggiungimento del nostro obiettivo. Vale per una preda nella foresta, per un fornitore in ritardo, per una saliera negata, per qualcuno che non si lascia convincere: l’emozione che si attiva è sempre la stessa e, di conseguenza, il comportamento automatico correlato.

Capire cosa provano vi sarà più utile di capire cosa pensano.

In buona sostanza, le emozioni ci governano nello stesso modo con cui governavano l’uomo dell’età della pietra e danno luogo a comportamenti automatici funzionalia salvaguardare la nostra sopravvivenza e la nostra essenza di esseri sociali. Purtroppo questi automatismi non sempre risultano i più appropriati a fronteggiare ogni situazione. L’intento della natura è stato quello di renderci rapidi a reagire a discapito di qualche possibile errore (i comportamenti disfunzionali). Il cervello ha il principale compito di mantenerci in vita. È un sistema complesso ad alto dispendio di energia, che predilige scorciatoie comportamentali a vantaggio della rapidità di esecuzione. Una valutazione razionale della situazione sarebbe nella maggior parte dei casi troppo lenta da eseguire per proteggerci da pericoli imminenti. 

Quindi, se l’essere umano è in primis un sistema emotivo, interagire con un essere umano significa avere a che fare innanzi tutto con le sue emozioni e, di conseguenza, con le nostre.

Torniamo allora al concetto iniziale: se, come abbiamo detto, non significa essere simpatici, gentili o empatici, cos’è allora l’intelligenza emotiva? Per rispondere può aiutarci partire dalla definizione di intelligenza. Con una sintesi davvero estrema, possiamo dire che l’intelligenza sia la capacità di comprendere ed elaborare dati e, grazie a questo, arrivare a conclusioni e a soluzioni di diverso tipo e natura. Permutando il concetto, possiamo allora dire che l’intelligenza emotiva consista nella capacità di comprende ed elaborare dati provenienti dalle emozioni, nostre e degli altri. In pratica, di comprendere ed elaborare l’essenza vera di ciò che muove il comportamento delle persone e di giungere a conclusioni e soluzioni. Vi sembra poco?

Nel mondo del lavoro l’intelligenza emotiva è una competenza estremamente importante, in qualunque livello vi collochiate nell’organizzazione aziendale, dal top management agli incarichi di tipo operativo. L’intelligenza emotiva non è un sostituto dell’intelligenza tradizionale, sia chiaro. Non rimpiazza le competenze tecniche specifiche, ma può fornire un insieme di abilità che, se apprese, ci possono supportare nella comprensione e gestione di noi stessi e degli altri, aumentando enormemente le nostre capacità relazionali.  “Un buon ambiente lavorativo (in termini di motivazione, collaborazione, leadership, coinvolgimento, flessibilità e fiducia delle persone) può aumentare la customer satisfaction fino al 47% e la produttività fino al 27,8%” (Sole 24 Ore 21/02/05).

I 10 modi per ottenere successo con l’intelligenza emotiva che nessuno ti rivelerà mai, nemmeno noi.

Siete arrivati fino a qui. Molto bene. Sappiate che abbiamo scritto questo articolo in modo da dissuadere chi fosse alla ricerca di scorciatoie e trucchetti. Per tenere alla larga coloro che pensano che le cose possano ridursi a un decalogo di istruzioni degne – forse – di spiegare il funzionamento di un elettrodomestico. Anche perché di scorciatoie e trucchetti  noi non ne conosciamo. In ambito relazionale non esiste qualcosa del genere e state alla larga da chi vi induce a pensarlo. Qualcuno pensa forse di poter imparare uno sport con un videocorso di tre minuti? O di tre ore (tanto non cambierebbe)? Eppure di video corsi sportivi pullula il web, come pullula  di magici guru che provano a ridurre la capacità di gestire la natura umana a 10 trucchetti, 5 regole, 3 consigli. Ovviamente, di quelli che “gli altri non vi riveleranno mai”.

Se siete arrivati fino a qui significa che a) l’argomento vi interessa, b) avete la perseveranza di approfondire. Siete sulla strada giusta. Se studiamo anni per imparare il funzionamento di una macchina, scordiamoci di poter imparare in 10 minuti come funziona il sistema più complicato dell’universo, l’essere umano. Lo abbiamo già detto, l’Intelligenza Emotiva è una competenza che vi ripagherà con risultati di grade soddisfazione, a patto di conoscerla e allenarla con impegno. Siete pronti? Continuate a seguirci. 

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